Non so se abbia senso credere di potersi rivolgere a dei “giovani”. Certo giovinezza e vecchiaia convivono finché è vivo in ciascuno e ci portiamo dentro a ogni istante il giovane che siamo stati, così come il giovane presentiva lucidamente e perentoriamente la sua vecchiaia. È proprio questa contemporaneità dei tempi e delle età che si è andata perdendo, così che oggi i giovani diventano vecchi anzitempo e i vecchi si credono giovani fuori tempo.
Per questo non trovo altre parole per rivolgermi ai giovani che quelle che il 23 agosto 1914 una ragazza di ventidue anni, Carla Seligson, scrisse a Walter Benjamin pochi giorni dopo che sua sorella Rika si era suicidata insieme al fidanzato, il poeta diciannovenne Christoph Friedrich Heinle. I due giovani avevano deciso il suicidio subito dopo aver appreso la notizia dello scoppio della guerra mondiale. Vorrei che i giovani riflettessero su questa decisione oggi che il discorso sulla guerra atomica è diventato qualcosa come una chiacchiera quotidiana. Ma soprattutto vorrei che nelle parole di Carla Seligson essi sentissero vibrare quel «lamento per una grandezza mancata» che secondo Benjamin è la lingua della gioventù. «Ci sono soltanto due età» scrive Carla Seligson «la gioventù e la morte». È questa intatta consapevolezza della serietà della propria condizione che vorrei ricordare a chi oggi crede di essere giovane. Ho tradotto il breve testo letteralmente, cercando di conservare la sua asprezza.
Il Suicidio.
La morte prende forma ed ha una forma, morire è solo la fine della vita, della perdita, della corruzione. Vi è nella morte una relazione del morente al mondo, alla quale nessuno dei due può mai sfuggire. Chi muore la morte, raggiunge lo stato del mondo che tramonta. Questo avviene in un grande potere sul mondo, che è un darsi interamente a colei che lo ama. Questa morte è spaziosamente formata, essa partorisce l’eternità nell’onnipresenza dell’amato. La morte giovanile è pura, se diventa il letto di morte del mondo e si appropria interamente dei corpi delle cose. In una tale morte nasce un nuovo mondo, nel quale solo la materia muore. Il passaggio nella morte è una rinuncia al fare o all’agire. Riesce raramente al giovane, quasi mai al vecchio. Non ha età colui che muore quando è venuta nella stagione la sua ora e solo nella gioventù si offre libero il passaggio. Ci sono soltanto due età: la gioventù e la morte. Esse confinano l’una con l’altra, la morte del fratello dona al giovane la ricchezza che appartiene all’immortale. Suo fratello è così immortale. Ciascuno raggiunge la catena della morte.
7 novembre 2022
Giorgio Agamben
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